La Banca del Futuro

Nel corso dell’ultimo appuntamento settimanale, l’associazione UBES ha puntato il proprio faro d’interesse verso il Fintech e le banche destando particolare attenzione sul futuro del mondo bancario. Il termine Fintech nasce dalla contrazione di Finance (Fin) e Technology (Tech) a indicare le due radici più forti.

Il discorso, in prima battuta, è stato aperto dal gentile Professore Camelia, dando una panoramica generale sul Fintech, ovvero, il modo in cui oggi i prodotti e servizi finanziari arrivino al mercato tramite le più avanzate tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Passa quindi la parola al Dott. Maurizio Primanni, Ceo & Founder del Gruppo Excellence, una realtà con quartier generale a Milano nato per aiutare il cliente a destreggiarsi nel difficile mondo delle Financial Institutions supportandolo in tutte le fasi del ciclo di vita dei prodotti e dei servizi offerti al mercato, oltre a fargli ottenere il massimo vantaggio competitivo nel Customer Care e nella Customer Operations.

Il Dott. Primanni, dopo un’esperienza quadriennale presso l’azienda di management consulting McKinsey & Company, decide di mettersi in proprio nel 2007 insieme al suo collega Renato Ferri Pacini costituendo il gruppo Excellence.

Partendo da un’inquadratura generale del suo ultimo libro scritto a quattro mani insieme al Dott. Antonello Di Mascio “La banca del terzo millennio. Il futuro del sistema bancario tra Fintech e post pandemia”, il discorso si è incentrato sul futuro della banca.

Sono 3 in particolari i pilastri su cui il discorso si è incentrato:

  • Concentrazione, ovvero, il processo di fusioni ed integrazioni senza precedenti che ha preso il via fin dal 2000 e ha dato vita a due grandi gruppi bancari di dimensione europea;
  • Digitalizzazione, la profonda evoluzione tecnologica all’interno del mercato finanziario e di quello bancario in particolare;
  • Divergenza specializzata, la convergenza tra i mondi assicurativo, Asset management e bancario, o meglio, la nascita di banche specializzate per segmenti di clientela o segmenti di business con conseguente affermazione di nuovi canali di servizio per la clientela.

La banca del futuro, secondo Primanni, andrà verso la consulenza e ci saranno sempre meno prodotti disponibili; ci sarà la capacità di costruire soluzioni d’offerta su specifici clienti e infine sarà sempre più presente la presenza di dati e di intelligenza artificiale per arrivare definitivamente a dati che oggi appaiono appannati.

L’incontro si è rivelato trasversale suscitando attenzione anche ai meno abbienti al settore arrivando da queste domande di vario genere soddisfatte tutte dal Professore Camelia e dal Dott. Primanni.

“Sono il signor Brandani e risolvo problemi!”

La scelta dei temi trattati da Ubes è ampia e ogni incontro spazia nei più disparati contesti economici; nell’ultimo appuntamento, ci siamo immersi nel vivo di una società di consulenza, i cui Ceo e manager hanno discusso di una skill di assoluta importanza, la comunicazione.

Il primo a prendere la parola è stato Giovanni Brandani Ceo & Founder del gruppo Join Business Management Consulting (d’ora in poi JBMC), persona dotata di grande carisma, il quale ha saputo, attraverso momenti allegri e seri, immergerci nel vivo di una società di consulenza raccontatoci la storia di questa società e la leadership che in questi anni ha saputo conquistare senza mai pretenderla.
La parola è passata poi ad Alessandro Petrelli, Jacopo Fortunato e Cesare Gonzi.
Ebbene, perché una società di consulenza va analizzata a fondo e la visione che a prima vista si può cogliere è quasi sempre sbagliata in quanto, in particolare, JBMC si pone l’obiettivo di assistere il cliente difronte a varie problematiche che possono venire a crearsi durante la vita della stessa; JMBC non si ferma davanti a nulla, tutto può essere ricchezza mantenendo sempre un occhio vigile sulle nuove opportunità; adottando sempre un atteggiamento trasparente in modo da poter far esprimere di esprimersi come lo stesso Brandini ha voluto definirla, la JBMC può chiederti le “chiavi” della tua idea e restituirtele quando dovrai solamente cominciare ad operare.

JBMC si posa su tre pilastri:

– Tailor-made: il servizio erogato è fatto su misura per rispondere ad esigenze specifiche del cliente;
– Deliverable base: realizzazione di indicatori misurabili che attestano e verificano il lavoro svolto da JBMC;
– Productivity: Alto livello di produttività.

Una volta conosciuta JBMC, si passa al ruolo e alla definizione di comunicazione e da questo momento tutto quello che si pensava potesse essere già conosciuto e scontato diventa nuovo.
In primis, una componente molto importante di questa skills è il modo in cui ci si pone difronte ad un interlocutore poiché la gestualità e la postura diventano molto determinanti per avere un feedback positivo; inoltre è importante mantenere un tono di voce lineare e contornato da poche pause e saper delineare ottimamente le argomentazioni attraverso una sigla: MECE (Mutualmente Esclusive Collettivamente Esaustive).

I manager, consapevoli del fatto che non tutti possono avere la stessa propensione alla comunicazione, pongono l’attenzione sulla dimensione interna e la dimensione esterna

La dimensione interna è lo stato d’animo di chi parla mentre la dimensione esterna è come chi parla crede di essere visto da chi lo ascolta; prima delle consuete spiegazioni di queste due dimensioni, il manager di JBMC ha chiesto ai presenti che cosa turba durante un discorso ed dal dibattito sono emerse le titubanze di alcuni partecipanti. Davanti a questa situazione, il manager, prendendo in prestito le parole di Will Smith, ha affermato che: “Il punto di più grande pericolo è il punto di minor paura” ovvero, una volta che decidiamo di metterci in gioco, uscendo dalla comfort zone, è lì che ci accorgiamo di essere capaci di vincere.
JBMC, ha tenuto a precisare come queste due fattispecie non vadano mai viste in parallelo in quanto la dimensione esterna può essere percepita solamente durante l’incontro e andrà saputa gestire durante questa attraverso armi che col tempo si riescono a creare e ad affinare.

L’incontro si è ritenuto interessante ed arricchente per i partecipanti, le paure esistono ma nulla non può essere sconfitto e quelle paure, un giorno potrebbero diventare il nostro vantaggio competitivo.

Giacomo Melani – Come creare idee di business vincenti

Negli ultimi incontri, la nostra Society ha esplorato il mondo delle startup attraverso gli occhi di chi lo fa per davvero: abbiamo intervistato Startup Geeks che ci ha spiegato l’importanza di testare il mercato prima di lanciare un prodotto e poi, Gaia Alaimo di Your Millennial Mentor che ci ha motivato a credere in noi stessi e ad essere costanti per la realizzazione delle nostre idee. Tuttavia, c’era ancora una domanda che restava senza risposta:

Ma come si struttura un’idea vincente?

L’ultimo appuntamento del 2021 è stato proprio dedicato a chiarire questo punto, insieme all’esperto Giacomo Melani.
Laureato in Ingegneria civile, Giacomo consegue il Master in Business Administration al MIP – School of Management del Politecnico di Milano, dove collabora tuttora, ed è qui che si appassiona al mondo della Strategia, Innovazione e Digital. Oggi, insegna presso l’Università degli studi di Siena, presso l’EMBA Tor Vergata e lo IED di Milano ma è anche managing partner di Harkét, realtà operante nel marketing, sviluppo di brand e innovazione. La sua carriera è costellata da diversi traguardi: ad esempio, nel 2011, è co-autore, insieme a Michele Ornati, del libro “Oltre il CRM – La customer experience nell’era digitale. Strategie, best practices, scenari del settore moda e lusso”. Tuttavia, Giacomo, preferisce definirsi come colui che aiuta le imprese ad immaginare ciò che ancora non esiste e a trasformarlo in successo. Lo fa attraverso diversi corsi di formazione e workshop che tiene in azienda ma anche facendo divulgazione gratuita attraverso i canali social ed il suo blog (www.giacomomelani.com).

Durante il suo speech, Giacomo ci ha dapprima spiegato cos’è un Modello di Business, per poi soffermarsi sul “Business Model Canvas”, ovvero un modello di gestione strategica che costituisce un valido alleato per strutturare un’idea imprenditoriale, capace di mapparne ogni componente per poter apprezzare le potenzialità ed evidenziare i limiti della nostra idea imprenditoriale. Esso si compone di 9 blocchi descritti nell’immagine seguente:

Per entrare nel vivo del modello Canvas, Giacomo estrae un rasoio dalla propria tasca, suscitando curiosità nei presenti. Il rasoio rappresenta un esempio di un modello di business che appena messo in pratica si dimostrò invincibile: si tratta del Razor and Blades della Gillette.
Fino a poco prima di questa innovazione il rasoio non aveva una lunga vita: con il tempo la lama si deteriorava compromettendo l’intero prodotto che quindi doveva essere sostituito. Ma Gillet capovolse questa regola scomponendolo in due pezzi: la base, che era in regalo, e la lama che invece era la componente realmente pagata. In questo modo i consumatori non avevano bisogno di cambiare l’intero prodotto ma solo la parte soggetta a usura ad un prezzo accessibile a tutti.

Tuttavia la storia ci insegna che, sebbene il modello Razor and Blades abbia avuto un grande successo nel mondo dei rasoi, la stessa sorte non è toccata ad altri prodotti (si pensi al caso delle macchine del caffè e alle capsule compatibili). Infatti, questo ultimo modello presenta un punto debole che è il brevetto: una volta scaduto, i concorrenti potranno entrare nel mercato con item compatibili facendo concorrenza a un prezzo più basso.

I modelli di business, come ha continuato Giacomo, si sviluppano nel tempo ed oggi, nella nostra vita quotidiana, ci interfacciamo sempre con nuove tipologie. Ad esempio, attraverso la “subscription”, Photoshop invece di vendere un prodotto, presta un servizio a chi non è disposto a pagare l’intero software, offrendo abbonamento ad un prezzo più comodamente, oppure, “platform” è un modello di business che crea valore facilitando gli scambi tra due o più gruppi interdipendenti, solitamente consumatori e produttori. Invece, l’ADV permette alle aziende di generare un guadagno attraverso l’investimento in pubblicità che compaiono nelle pagine web. Infine, la “Long Tail”, in italiano la “lunga coda”, resa famosa dal giornalista Chris Anderson, che consiste nell’accorpare tanti articoli che singolarmente non riuscirebbero a raggiungere una grande fetta di pubblico.

In definitiva, il dibattito è stato intenso, ricco di spunti e di confronti. Per i nostri soci, Giacomo Melani ha fatto molto di più che condividere le sue conoscenze e la sua esperienza. Negli ultimi mesi, è stato un punto di riferimento importante che ha permesso ad UBES di svolgere al meglio la sua mission, ovvero quella di “contribuire alla crescita culturale e professionale dei suoi soci” ed è per questo motivo che al termine dell’incontro, gli è stato conferito il titolo di socio onorario.

Alessia Cozza

Internet è stata la mia finestra sul mondo.

Ad ognuno di noi sarà capitato di sentirsi ispirati da una figura pubblica per la sua carriera professionale o semplicemente per i valori di cui è portatore ma spesso, la distanza che ci separa sembra insormontabile e ci chiediamo se mai potremmo ambire al suo titolo, se ne siamo all’altezza.

Gaia Alaimo lavorava a pieno ritmo in una startup quando ha deciso di iniziare a fare qualcosa per i suoi coetanei che li aiutasse a mettersi in contatto con nuovi modelli: giovani professionali disposti a dispensare consigli, ad essere “Mentor”.

Ce ne ha parlato in diretta Instagram durante il quarto appuntamento della stagione UBES 2021/2022 ma prima, facciamo un passo indietro.

Gaia Alaimo studia all’Università degli studi di Trieste a Gorizia nel corso di laurea di Scienze Internazionali e Diplomatiche. Laureata, appena ventunenne, entra nel direttivo nazionale di AIESEC; a 23 anni conosce il mondo delle startup in Impact Hub con sede a Belgrado entrando nell’ambito di marketing e HR e quindi Gaia si dividerà tra Milano, Londra e Belgrado esplorando successivamente Apple e Gi Group.

È attraverso tutti i confronti che ha potuto avere con molti suoi coetanei o appena più grandi di lei, nei suoi tanti viaggi in veste di turista o per motivi di lavoro che Gaia trova la motivazione per fondare yourmillennialmentor (YMM) nel 2019. Da qui, la startup ha contribuito a far conoscere le storie di molti ragazzi che hanno cominciato a differenziarsi in giovane età per aiutare i giovanissimi ad individuare e pianificare la propria strada nel mondo del lavoro. Grazie al suo impegno nella divulgazione e mentorship, è riuscita già nel 2019 a coinvolgere più di 30 giovani professionisti con background diversi. Ad oggi, il canale social YMM è seguito da oltre 20.000 studenti e neolaureati poiché Gaia è attiva sia su Instagram che su TikTok.

Prima di lasciarci, Gaia ci svela i segreti del suo successo.

Una prima componenza è la motivazione. La sua attività non nasce per un tornaconto personale ma dalla genuina volontà di fare qualcosa per aiutare gli altri.

Un secondo ingrediente per un risultato assicurato è la costanza perché anche fare poche cose ma farle bene, conta. Cita quindi, le parole del famoso attore americano Will Smith quando, durante un’intervista, raccontò che suo padre era solito ricordagli attraverso la metafora di un muro, quanto importante fosse posizionare bene il mattone e di non focalizzarsi sul risultato finale. Infine, è fondamentale il confronto. YMM aiuta tanti giovani a trovare i propri modelli ma chi è stato il mentor di Gaia? Andando a ritroso nella sua storia, riconosce Gaia Monterapici, founder della grande azienda a livello globale Impact hub, come una delle figure che più l’ha segnata ma ammette di aver avuto diversi mentor di cui ammira in ognuno qualcosa di unico. Il confronto risulta sempre prezioso!

Insomma, trovare la propria strada non è un processo semplice e Gaia attraverso YMM contribuisce a diffondere un messaggio importante: quello di non farci frenare dalla paura di ciò che pensano gli altri per iniziare a costruire il nostro futuro!

Alessio Cozza

La guida dello startupper: da idea a impresa innovativa.

“Non avere paura di mostrare la tua idea! Nella realtà dei fatti l’idea non vale nulla, la differenza tra una Startup che assume valore e una che non ne assume non è sicuramente l’idea ma tutto il percorso che è stato fatto.”

Luca Ferrara, Startup Analyst, di Startup Geeks incontra UBES.

Startup Geeks è una Startup nata in piena pandemia come società benefit volta a formare, connettere, a far crescere gli imprenditori consapevoli ed affiancare l’imprenditore nelle fasi di idea, discovery e validazione. Lo scopo di Startup Geeks nell’ecosistema è quello di essere punto di riferimento online per tutti coloro che vogliono lanciare e far crescere una Startup. 

Ma vi starete chiedendo… come opera nel concreto Startup Geeks?

Il primo canale è Startup Geeks Premium, spazio di confronto e formazione, che ad oggi conta 1000 membri abbonati, volto ad accompagnare l’imprenditore dalla creazione del business plan alla conoscenza degli aspetti più tecnici. Il secondo canale è lo Startup Builder, percorso di incubazione online di 12 settimane, un vero e proprio mentorship personalizzato volto a definire il reale potenziale dell’idea.

Come si passa dall’idea alla Startup? 

Eureka! Ho trovato!

Espressione esclamata per la prima volta dal matematico Archimede, viene ripresa da Luca Ferrara per ricordarci che 

Generare l’idea è solo il primo passo di un lungo cammino: l’1% è l’idea, il 99% è l’execution!”

Ed è proprio tramite il racconto di Archimede che Luca Ferrara ci espone le due alternative per trasformare l’idea in Startup. 

Pillola blu. Testare in modo ragionato l’idea per capirne il potenziale. E’ la strada più strutturata per gestire l’incertezza ed evitare di essere sopraffatti dal mercato.

Pillola rossa. Seguire l’istinto e lanciarsi sul mercato. È la strada meno consigliata. Oltre il 90% delle Startup fallisce e il 35% va incontro a questo destino. 

Una volta stabilito che la strada da intraprendere per schivare i rischi del caso è la seconda, cosa bisogna realmente fare? Partendo dai Big della Silicon Valley, Luca Ferrara, ci fa letteralmente sentire dei “nani sulle spalle dei giganti” e ci racconta di Steve Blank, customer development, il quale ha posto il focus sull’analisi del cliente e del mercato in modo da capire se effettivamente esiste un cliente ed un mercato e capire cosa questi vogliono. Eric Ries, ideatore della metodologia lean, ha posto il focus sull’offerta di valore, ossia sulla necessità di capire cosa vuole davvero il mercato. Non ha senso, secondo Eric Ries, sprecare le risorse per costruire un prodotto che secondo te è perfetto, bensì costruisci un prodotto che è essenziale per il mercato.  Peter Thiel, l’uomo del venture capital, ha posto il focus sulla vendita, sulla velocità e sul mercato, ossia sulla capacità di catturare il valore creato.

Formazione, raccolta dati, network e azione sono le quattro necessarie fasi da testare per trasformare l’idea in Startup.  Luca Ferrara, però, si concentra su un aspetto in particolare: la validazione. Uscire fuori dalla propria cameretta, entrare nel mercato e testare. Testare per raccogliere dati e aggiustare continuamente l’offerta di valore, tramite questionari ed interviste, in modo tale che sia effettivamente ciò che il mercato ti chiede. Testare per definire il mercato, per studiare i competitor e raccogliere dati al fine di delineare il modello di business che si vuole seguire e i canali di comunicazione che si vogliono sfruttare.

Ma la buona intuizione non basta! Dobbiamo porci delle domande.

È davvero la mia strada? È davvero il lavoro che voglio fare?

Come posso davvero differenziarmi dai competitor?

Ciò che ho pensato è davvero adatto a soddisfare i bisogni dei clienti?

Ma la domanda che tutti ci poniamo è … dove trovo le risorse? 

Pitching e Fundraising. L’incontro con gli investitori non è una presentazione di vendita, ma una vera e propria conversazione a cui dover arrivare con informazioni e documenti necessari.  Le fonti di finanziamento per la Startup vanno dai fondi dedicati al classico prestito bancario ai grants alle diverse categorie di investitori.  I primi investitori sono i friends family founder (amici, famiglia e fondatori), poi ci sono gli angel investor (persone benestanti che investono i propri soldi nelle Startup) ed infine i big boys ossia i venture capital (fondi di investimento che raccolgono e investono soldi in Startup). Queste fonti di finanziamento possono essere trovate attraverso programmi di accelerazione, o consultando il sito angel list o tramite i business angel network ossia alle associazioni di angel.  

A fine incontro ringraziamo Luca Ferrara per le pillole donate, per la disponibilità mostrata e per la passione trasmessa!

Michela Maria D’Onofrio

Alla scoperta di LinkedIn

Nell’ultimo appunto di questo anno accademico decisamente particolare, la society Usiena Business & Economics Society ha voluto darci appuntamento al prossimo anno con un incontro davvero funzionale.
Affacciarsi al mondo del lavoro non è semplice, specie nel 2021, tra la massiccia concorrenza e la mancanza di un equilibrio tra la carriera e la vita privata esistono dei mezzi che possono venirci incontro.

È il caso di Linkedin, immediatamente da sottolineare è la sua nascita, ovvero, questa piattaforma nasce prima di Facebook e Instagram, precisamente nel 5 maggio 2003. Naturalmente questo social non è per tutti e di certo non ha i numeri delle prime due poiché LinkedIn è di diverso e fa differenziare. Non è il social in cui condividere un tramonto o un’emozione, se non legata a un momento professionale specifico, ma è il social dove si condividono contenuti afferenti alla sfera professionale che alimentano confronti, esperienze lavorative dell’utente che arricchiscono il profilo e fungono da CV sempre disponibile ai recruiter, con la potenza di arrivare ovunque nella rete. È interattivo e qualunque recruiter può averlo sempre a disposizione: immaginate se, domani mattina al vostro risveglio una notifica del vostro telefono dice “Bill Gates ha visualizzato il tuo profilo”, non è un’utopia perché potrebbe davvero accadere.

A parlarci di questa piattaforma è stata Sara Gigliotti, ragazza ambiziosa e con tanta voglia di divulgare le sue conoscenze. È calabrese e la sua vita cambia quando decide di trasferirsi a Milano per studiare Management senza immaginare che un giorno proprio questo ambito sarebbe diventata la sua strada.
Ama il sociale, le piace il lavoro di squadra, intervista e seleziona persone con lo scopo di scoprire il loro talento nascosto, di metterlo in risalto e portarlo nel mondo del lavoro. Promuove l’immagine delle aziende all’esterno che in gergo si chiama “employer branding” che lei preferisce definirlo come <<processo di selezione al contrario>>. Amante del social Linkedin, nel 2018 vince il premio di “Top Social recruiter Linkedin Italia”. La svolta però arriva in pieno lockdown, quando qualcuno appassisce aggrappandosi a cose migliori, Sara si rinnova, mettendo a disposizione il suo sapere per le nuove generazioni che escono dall’università e si affacciano al lavoro, nasce “@human.recruiter: il lato “umano” del mio ruolo.” Sara resta stupita da ciò che accade, su Instagram raggiunge un numero che rapportato al tempo è davvero ragguardevole, ma non basta perché la cosa ancora più sorprendente è che ogni singolo follower è attivo ed impregnato di tanta curiosità.

Sara comincia dalle basi di quello che è LinkedIn, analizzando il perché diventa così importante oggi essere attivi su questo social network.
Linkedin è:

  • <<La tua vetrina professionale sempre disponibile ai recruiters e alle aziende>>
  • <<Lo strumento professionale attraverso cui le aziende si raccontano>>
  • << La piattaforma che favorisce l’incontro tra domanda e offerta di lavoro>>
  • <<Lo strumento professionale attraverso cui puoi curare il tuo personal branding>>
  • <<Un potente strumento di networking>>
  • <<Un ottimo strumento di informazione>>

Bisogna pensare LinkedIn come la propria “vetrina professionale” professionale e così come lo è per un singolo, così diventa per le aziende. Diversamente da altri social media, è una piattaforma in cui è richiesta professionalità e serietà. Ma non basta essere solo iscritti: bisogna usarlo in modo attivo poiché trascurarlo è inefficace. È un ottimo strumento di informazione: basti pensare a LinkedIn Notizie dove oltre 65 giornalisti in tutto il mondo selezionano i fatti di attualità che permettono di mantenere gli iscritti informati su varie tematiche, o a Linkedin Learning, che offre una libreria di corsi online ampissima.

Per strutturare un profilo LinkedIn efficace, prima di tutto è necessario ragionare sul proprio obiettivo e Sara, su questo, consiglia il metodo “S.M.A.R.T.”: un sistema attuo a definire i propri obiettivi ed è proprio da tale acronimo che è possibile scindere i 5 criteri ovvero: “Specific (specifico) Measurable (misurabile) Achievable (raggiungibile) Realistic (realistico) Time-Based (temporizzabile)”. È fondamentale poi identificare e definire il proprio target ed è proprio qui che Sara consiglia di fare leva sulle proprie skills, siano esse “soft” o “hard”, e di porsi nell’ottica di risolvere un potenziale “problema” o di soddisfare un’esigenza per il network con cui vogliamo entrare in contatto.

A questo punto Sara ci porta in campo, proprio nel suo profilo e dà delle chicche alquanto interessanti che, a parere dello scrivente, è il caso proprio di restare al passo con lei e di non perdersi ciò che condivide sui suoi social.

Alessio Cozza

Da Chianciano a Cupertino.

Spesso ci chiediamo quanto di quello che accade nella nostra vita sia frutto delle nostre decisioni o di un disegno prestabilito. Marco Landi, Manager italiano deciso a “cambiare il mondo”, di questo dubbio, ne sa qualcosa. Quella che vi stiamo per raccontare è una storia che in pochi conoscono ma che in realtà ha cambiato la vita di tutti noi.

UBES incontra Marco Landi, ex COO di Apple, presidente di QuestIT e fondatore dell’Istituto EuropIA e Giovanni Baldassarri, presidente di EuropIA Italia.

Marco Landi parte da un piccolo comune senese, Chianciano Terme, e sceglie di frequentare l’Università di Bologna con il sogno di diventare il nuovo Cesare Alfieri. Nel pieno della rivolta degli studenti, si approccia per la prima volta al digitale attraverso la redazione della sua tesi di Laurea.

Nel 1968 l’argomento ai tempi era ancora poco conosciuto, ma permise a Marco Landi di intraprendere quella strada, tutta in salita, che lo avrebbe portato fino a Cupertino, in California; qui diventa President e Chief Operating Officer di Apple.

In quegli anni Steve Jobs era stato da tempo allontanato dalla Apple. Marco Landi, in soli dodici mesi, porta la Apple – sull’orlo del baratro – a 100 milioni di fatturato.

“Marco Landi has the recipe to change Apple!”

Fu proprio l’ingresso di Marco Landi a contribuire, in maniera del tutto casuale, alla riassunzione di Steve Jobs. A quei tempi la Apple necessitava di un nuovo operation system e tra i possibili venditori, Steve Jobs era il secondo della lista. L’insaziabilità del primo della lista, Jean-Louis Gassée, lo condusse a rifiutare 220 milioni. BeOS non venne acquistata, al suo posto il nuovo operation system fu NeXT. Steve Jobs rientrò in azienda e in poco tempo, decise di sostituire la maggioranza degli uomini della Apple, compreso Marco Landi.

Steve Jobs – forse per caso o forse per destino – rientrò alla Apple e cambiò il mondo!

Chiediamo a Marco Landi quale sia stato il segreto del successo di Steve Jobs.

“Steve Jobs ha avuto l’incredibile capacità di far convergere, in un unico strumento, strumenti differenti: si pensi al GPS e alla connessione online nell’iPhone o al passaggio dall’home computer all’iPod. Steve Jobs non ha creato un nuovo strumento, Steve Jobs ha avuto un immenso coraggio, è stato curioso ed è stato capace di vedere quello che gli altri non vedevano.”

C’è solo un aspetto che Marco Landi contesta a Steve Jobs: non aver messo l’umano al centro dell’attività.

Marco Landi, spinto dal desiderio di incentivare e stimolare i giovani nell’attività di Artificial Intelligence, fonda “EuropIA” e nomina Giovanni Baldassarri presidente dell’Istituto in Italia.

Prima di passare la parola a Giovanni Baldassarri, chiediamo a Marco Landi una sua personale definizione di intelligenza artificiale.

“Così come i filosofi greci ricercavano nel mondo esterno risposte alla loro esistenza, l’intelligenza artificiale è una ricerca nella nostra mente. L’intelligenza artificiale come continuazione della filosofia, l’intelligenza artificiale come mezzo per rispondere alla domanda “noi chi siamo?” e per esternalizzare ciò che abbiamo dentro.”

L’Istituto EuropIA viene creato con l’obiettivo di sensibilizzare l’uomo allo sviluppo e all’implementazione dell’intelligenza artificiale, lanciare un grido di unità europea e trarre il massimo vantaggio dall’intelligenza artificiale migliorando la futura forza lavoro europea.

Nel perseguimento di questi obiettivi cardine, EuropIA ricerca i migliori stakeholder che lavorano nell’intelligenza artificiale, per creare una massa di lavoro in grado di rispondere alle reali esigenze connesse al progresso tecnologico.

Ed è a questo punto che ci sorge spontanea una domanda:

Possono lavorare nell’intelligenza artificiale solamente ingegneri o esperti nel campo?

“No. L’intelligenza artificiale è come un bambino che deve essere procreato, educato, indirizzato e inserito in un contesto etico. Non è sufficiente identificare l’algoritmo atto alla creazione dell’intelligenza artificiale, è necessario insegnare a quest’ultima a quali domande ed esigenze saper rispondere. Bisogna insegnare all’intelligenza artificiale ad essere empatica. L’intelligenza artificiale, come un bambino, potrebbe cadere in errori e per fare in modo che questa vada avanti sulla base di principi etici, bisognerà individuare la strada giusta verso cui indirizzarne lo sviluppo. Con l’intelligenza artificiale si aprono le porte di una nuova economia e, per tale ragione, nell’intero processo di sviluppo e di crescita deve essere creata una sinergia tra i migliori attori professionisti: dall’ingegneria alle professioni giuridiche, fino a quelle umanistiche ed economiche.”

L’uomo, come insegna Steve Jobs, dovrebbe essere mosso da un’instancabile curiosità, tuttavia viene spesso bloccato dalla paura: la paura del progresso, la paura di perdere il controllo sulle “macchine”. Marco Landi e Giovanni Baldassarri ci suggeriscono di ricordare che come, in passato, finita l’era della carrozza è iniziata quella dei motori, oggi, il “call center fisico” lascia il posto al “call center digitale”. I disoccupati di oggi, non devono tentare di imitare le formiche – perché in tal caso non sarebbero uomini ma neppure formiche – e sulla scia di questa metafora devono intraprendere un “percorso educativo” verso la macchina.

Il progresso c’è e non si fermerà, per cui non mettiamoci al lato, siamo al centro di questa trasformazione, siamo il centro di questa trasformazione.

Ringraziamo Marco Landi, Giovanni Baldassarri e i Prof. Marco Gori e Elena Casprini.

Michela Maria D’Onofrio

È l’era della big data analytics

La society USiena Business & Economics Society in collaborazione con la society USiena Department of information Engineering and Mathematics sono stati lieti di aver fatto interfacciare i propri soci verso i big data e i big data analytics spiegati e illustrati dall’esperto Andrea De Mauro.

Andrea De Mauro prima di addentrarsi nell’analisi ha voluto dare un’idea di ciò che vuol dire essere dentro i big data analytics. Lui è un ingegnere, Director of Business Analytics presso Procter & Gamble e si occupa della data fluency di analisti e manager P&G in Europa e nel resto del mondo. Ha oltre 15 anni di esperienza internazionale e, al momento, è basato a Ginevra. Da questa grande esperienza verso la materia nascono due libri: nel 2019 con Big Data Analytics. Analizzare e interpretare dati con il machine learning” e nel 2020 con Big data per il business. Guida strategica per manager alle prese con la trasformazione digitale”.

Egli, con molta chiarezza ed esaustività ha illustrato il processo che ci ha portato fino ai giorni nostri in un modo piuttosto particolare esordendo con un inizio davvero riflessivo, portando allo stesso tempo esempi tangibili e riscontrabili tutti i giorni per arrivare meglio al punto e far interagire tutti i partecipanti

“I dati hanno cambiato pelle”
Si, perché i dati ci sono sempre stati. Essi nascono da un appunto, dalla contabilità di un’azienda, creando informazioni, ossia, dati, ma nel tempo quest’ultimi hanno cambiato alcune caratteristiche.
Il termine big data è assai recente perché risale al 2011. Nasce quando i dati cominciano ad acquisire volume, velocità e trasversalità prendendo dunque voce, attraverso video e gente, e colori, per mezzo di immagini, diventando un insieme così vasto di dati da non far bastare più le tecnologie tradizionali come excel, oppure la statistica tradizionale, che comunque quest’ultima resta la base di quello che è oggi. Si deve ricorrere a metodi e processi sofisticati per gestirli, per dargli un aspetto, un modo per renderli funzionali alla scopo desiderato e quando a questo processo si accorpa un’analisi di business si parla di big data analytics. Andrea si sofferma poi ad un passo falso che è comune fare per dare forma ai dati è cioè partire dall’acquisizione di personale specialistico. Il mito del data scientist, che trasforma il dato in oro, va un poco ridimensionato. La falsa partenza avviene, perché non conoscono l’azienda e nessuno può guidarli in maniera opportuna in quanto manca la preparazione per parlare con loro in maniera adeguata e per tradurre le opportunità di business in termini analitici. Andrea invece tiene tanto ad elogiare il lavoro di squadra.
La parte forte, la scintilla, che ha causato l’esplosione dei big data si deve alla famosa legge di Moore dove la correlazione descritta da Andrea avviene attraverso una frase che a leggerla più volte non riesce ad offrire l’ampiezza che ha: “la velocità e le prestazioni delle tecnologie digitali a disposizione delle aziende e delle persone raddoppiano a parità di costo ogni 18 mesi”, aggiungendo in pratica uno 0 ogni 5 anni.
La definisce una progressione di natura esponenziale ed è interessante per l’appunto il confronto di prestazioni tecnologiche che fa tra la nasa del 1969 (sbarco sulla luna) e un iPhone 6 del 2014 facendo staccare l’iPhone dalla prima da una progressione tecnologica pari a 100’000’000 di volte.

“Siamo nel mezzo di una rivoluzione industriale”
Facendo un passo indietro, tornando alla prima rivoluzione industriale, alla macchina a vapore, si evince che quest’ultima già esisteva ma non aveva la giusta considerazione e così che ci è voluto che i progressi tecnologici superassero una certa soglia da poter dare a questa il giusto peso da poterla far entrare in azienda.
Naturalmente il nuovo non fa colpo su tutto, dal nuovo nasce la curiosità ma nasce anche lo scetticismo come infatti ci è nota la storia, i trambusti (ved. Luddismo) l’uomo che vedeva come concorrente la macchina, la perplessità verso i cieli di Londra che d’un tratto diventavano neri. Poi, ad un certo punto, la stessa tecnologia si è evoluta (legge di Moore), è stata superata tramite l’integrazione nel quotidiano, nel normale modo di lavorare delle aziende facendo accettare la macchina a vapore.
Oggi qualcuno definisce questi come gli anni della “tecnologia a  basso costo”, dell’”intelligenza artificiale a portata di mano” come la quarta rivoluzione ma Andrea vuole soffermarsi su qualcosa di più ampio:
1) c’è la legge di Moore, sempre presente, perché l’intelligenza artificiale non c’è da pochi anni, era già presente e disponibile, non molto evoluta, ma c’era già nel fine degli anni ’60, solo che era presto per accettarla e oggi è raggiungibile a tutti;
2) a prescindere dal nome che preferiamo dargli, noi siamo nel durante di questa rivoluzione, perché Andrea sottolinea come ogni periodo storico ha un inizio un mezzo e un dopo, perché tra poco entrerà nel quotidiano di tutti, abbassando se non facendo scomparire lo scetticismo, proprio come 200 anni fa accadde con la macchina a vapore.

Collaborazione tra uomo e macchina: la chiave di volta
Interessante, a parere dello scrivente, concludere questo articolo con un fatto storico citato da Andrea che il significato lascia davvero riflettere.
Garry Kasparov è campione indiscusso di scacchi e per dimostrazione o per insoddisfazione arriva a sfidare anche l’intelligenza artificiale, macchine progettate per giocare a scacchi, con le quali ha sempre avuto la meglio consacrandosi ancora di più nell’olimpo degli scacchi. Questa bellissima storia termina quando Kasparov incontra “Deeper Blue”. La prima sfida si disputò a Filadelfia a partire dal 10 febbraio 1996. Nella prima partita ci fu la sorprendente vittoria del Computer, si trattava infatti della prima volta nella storia che un computer sconfiggesse il campione del mondo di scacchi in una normale partita con regole ufficiali. Tuttavia, il campione del mondo riuscì successivamente a vincere 3 delle restanti 5 partite aggiudicandosi il match per 4-2.
L’anno seguente giocò una nuova sfida in sei partite contro una versione aggiornata del supercomputer. Il campione del mondo vinse abbastanza agevolmente la prima partita, ma perse la seconda e dopo una sequenza di tre patte perse anche l’ultima in appena 19 mosse, definendola la peggiore sconfitta della propria carriera.
Tutto questo non ha fatto male al campione, anzi, ha fatto nascere in lui una curiosità immensa a tal punto da ridefinire il suo stile di gioco dando vita all’“advance chess” una modalità di gioco in cui ogni giocatore gioca in compagnia di una macchina, ma non per farsi consigliare quanto per simulare alcune direzioni di gioco particolarmente funzionali per la partita.
Il succo è: quando c’è un essere umano, anche debole, che gioca insieme ad una macchina e con essa sviluppa una sintonia, allora questa persona, questo gruppo, vince anche contro lo scacchista più bravo del mondo che gioca anch’egli con la macchina ma non ha sviluppato la tecnica giusta per entrarci in sintonia. Allora c’è scontro o collaborazione?
Andrea con questa storia incita a RIMANERE CURIOSI E A STUDIARE.

Alessio Cozza

Due chiacchiere con… Giulia Armellini

“Hai mai sentito parlare del consulente finanziario indipendente?”

La consulenza finanziaria indipendente è una realtà che offre numerose opportunità di crescita ma che è ancora poco conosciuta tra i giovani. Ne abbiamo parlato insieme a Giulia Armellini che con il suo background di esperienze sia in Italia che all’estero, ha delineato una panoramica del mondo della consulenza finanziaria indipendente e più precisamente, di Consultique, società in cui riveste il ruolo di Project Manager.

I consulenti finanziari indipendenti sono anche conosciuti come “fee-only financial planners” per sottolineare lo svolgimento di servizi di consulenza finanziaria pagati con parcella. Si tratta di professionisti remunerati direttamente dal cliente e che quindi, sfuggono a possibili conflitti di interesse che potrebbero sorgere a causa della presenza di meccanismi di vendita. In altre parole, non essendo remunerati da chi crea i prodotti finanziari, i consulenti finanziari indipendenti avranno come unico intento quello di tutelare esclusivamente l’interesse del cliente.

Nonostante questa figura fosse ampiamente diffusa in Europa e nel mondo, la consulenza finanziaria indipendente era completamente assente nel panorama italiano. Acquisita consapevolezza dell’esistenza di un vuoto di mercato, Cesare Armellini fonda Consultique nel 2001.

La società si configura come la prima realtà in Italia ad offrire servizi di consulenza e di analisi finanziaria in maniera completamente indipendente dal sistema bancario tradizionale. L’azienda riunisce al suo interno consulenti che supportano il cliente nelle sue scelte utilizzando analisi e rating accessibili grazie ad un abbonamento annuale alla piattaforma di Consultique. Negli anni, l’azienda si è anche posizionata come primo studio di ricerche indipendente in Italia e principale fornitore di analisi e rating per il Sole24ore.

Oltre ad offrire servizi di consulenza e ricerca, Consultique è impegnata anche nella formazione di nuovi professionisti. Da due anni, è stato costruito un albo per la professione del consulente finanziario autonomo e Consultique ha ideato un master molto pratico per contribuire a diffondere la professionalità.

All’interno di Consultique, Giulia Armellini ha ricoperto diversi ruoli acquisendo consapevolezza sia dei vari aspetti dell’azienda che della filosofia della stessa. Oggi, è impegnata in un nuovo progetto “Consultique now” che sfrutta le potenzialità dei social per raccontare ai giovani il mondo della consulenza finanziaria indipendente attraverso nozioni, webinar ma soprattutto, attraverso le storie di chi ha sviluppato la propria carriera in questo settore.

Il progetto ha riscosso un notevole successo e in 4 mesi la pagina Instagram ha raggiunto più di 1000 utenti. Nel prossimo anno, Consultique propone di realizzare sempre più iniziative che coinvolgano anche associazioni studentesche ed università ed i social rappresentano un’ottima piattaforma per raggiungere questo obiettivo.

“Mi piacerebbe istituire un giorno dedicato alla consulenza finanziaria indipendente e organizzare il primo retreat” esordisce Giulia Armellini con l’ambizione di creare una community forte grazie alla condivisione di conoscenze e la comprensione del “Valore dell’indipendenza”.

Gabriella Pica 

start2impact: qual è il tuo percorso?

Sei percorsi diversi ma un unico comune denominatore: Creare una comunità di persone che aspirano ad utilizzare il digitale come strumento per avere un impatto positivo sulla società.

Oggi, start2impact è una piattaforma su cui è possibile orientarsi, imparare e fare pratica su sei diverse professioni digitali ma non fraintendere, non si tratta della solita formazione online.
start2impact è prima di tutto, una community di persone alla ricerca del proprio percorso, unite dal desiderio di voler utilizzare le loro competenze per influenzare positivamente gli altri.
Il network offre la possibilità di poter esplorare dal punto di vista teorico e pratico sei diversi argomenti (Digital Marketing, Data Science, UX/UI Design, Sviluppo web/app, Blockchain e Startup) ma anche di avere accesso alle diverse offerte di lavoro presenti sulla piattaforma grazie alle partnership strategiche che start2impact ha sviluppato negli anni.

L’idea nasce nel novembre del 2017 dall’osservazione di un incremento della richiesta del mercato del lavoro di competenze digitali alle quali, però, non corrispondeva un’adeguata offerta. Gherardo Liguori e Virginia Tosti elaborano un modello iniziale di business con l’intento di costruire una nuova classe di giovani digitali tramite l’orientamento e la formazione rivolta agli studenti delle scuole superiori. Grazie alla possibilità di potersi inserire nel circuito dell’alternanza scuola-lavoro, il numero di utenti è aumentato fino a raggiungere 8.000 studenti ma il target selezionato non era interessato ad andare oltre le ore di orientamento dedicate all’alternanza.
“C’erano le imprese interessate ma il pubblico non era quello giusto a cui rivolgere l’offerta. Questo è il motivo per cui abbiamo fatto un pivot” spiega Gherardo Liguori. Seppur un cambio di modello di business può risultare azzardato, nel caso di start2impact, si è trattato di una scelta vincente.

In questo nuovo format, start2impact pone al centro lo sviluppo di un network di persone (in media tra i 16 e i 30 anni) che hanno la possibilità di mettersi in gioco in prima persona su progetti pratici ad alto impatto sociale. Il vantaggio è duplice: Da un lato, gli utenti possono individuare il percorso più adatto a sé sperimentando, dall’altro, contribuiscono con le loro skills ad una mission personale allineata con gli obiettivi di sostenibilità.
Oggi, start2impact ambisce ad arricchire ulteriormente la sua community espandendo i suoi confini. Infatti, ha lanciato una sfida agli studenti dell’Università degli Studi di Siena: Un business case per favorire l’internazionalizzazione dell’azienda.
Le analisi presentate rappresenteranno un’occasione per start2impact per scrutare nuovi orizzonti ma soprattutto un’opportunità di crescita per gli studenti, i quali si cimenteranno in un progetto concreto in cui mettere in pratica ciò che hanno appreso durante i loro studi. Ai vincitori spetterà un premio speciale: 3 mesi gratuiti su start2impact ed una consulenza one-to-one con Gherardo Liguori.

La partecipazione attiva in un progetto è fondamentale per la scoperta dei propri limiti e di nuove potenzialità da sviluppare. In UBES, cerchiamo sempre nuovi stimoli che costituiscano un’opportunità per interrogarsi, esplorare e crescere personalmente. E tu, hai scelto già il tuo percorso?

Gabriella Pica